domenica 23 settembre 2012

Realtà virtuale, uno strano destino :ecco come nacque visse e morì l'immersione totale nel cyberspazio.


Post n°515 pubblicato il 06 Febbraio 2012 da francesco1375
Venti anni fa il mondo stava per entrare in una nuova era, l’era della realtà virtuale.
Ma poi si fermò sulla soglia di questo mondo fantastico.
Ecco cosa accadde.
Alla fine degl’anni ’80, la rivoluzione informatica era ormai esplosa.
Migliaia di persone possedevano un PC, e la potenza di calcolo dei computer appariva sorprendente.
Un vasto pubblico aveva ormai familiarità con le immagini digitali, questo soprattutto grazie ai videogame ormai diffusissimi in case e locali pubblici.
Ormai tutti avevano avuto l’esperienza di interagire con un PC.
La nuova interazione uomo-macchina, la creazione dei primi ambienti tridimensionali, fecero apparire naturale un passo ulteriore: L’integrazione tra mondo reale e mondo virtuale, creato artificialmente.
Notevole divenne a questo punto anche la filmografia sul tema.
L’idea di immergere uno spettatore all’interno di un’immagine è vecchia quanto la fotografia (stereoscopio).
Quella di catapultarlo all’interno della scena di un film risale ai primi anni ’60 (Morton Elig- Sensorama). 
Ma di fatto queste tecniche non avevano mai sfondato presso il grande pubblico.
Tuttavia le potenzialità dei nuovi microprocessori e l’interesse generale, convinsero un investitore inglese che fosse giunto il momento del grande passo in avanti nel mondo dell’intrattenimento.
Era l'inizio degl'anni '90.
Costui investì moltissimo in una ditta di Leicester nel Regno Unito . (secondo altre fonti la ditta era di Palo Alto in California. Ma ho fatto una ricerca e credo di essere sicuro che invece era inglese. Ho anche trovato la relazione originale dell'azienda fatta il 9 Ottobre 1991 al Leicester Polytechnic).
Questa ditta si chiamava Industries W, sperimentava sistemi virtuali da tempo e aveva vinto, nel 1989 un premio per la "migliore tecnologia emergente".
Industries W, che successivamente si chiamerà Virtualityrealizzò i primi strumenti video ludici virtuali della storia.L'impianto per produrli occupava 22.000 mq.
Si trattava di apparecchi molto complessi.
Per immergere lo spettatore nel mondo virtuale occorrevano parti ardware che circondassero l’operatore umano, e software in grado di gestire un ambiente tridimensionale credibile e che potesse interagire con le persone.
Vennero creati due strumenti: 1000CS per videogiochi da svolgersi in piedi e 1000SD per i giochi di  pilotaggio.
Il primo (1000CS) era una piattaforma sulla quale il giocatore stava in piedi. Era circondato da un anello imbottito che gli impediva di cadere o di avanzare inconsapevolmente.
1000SD era fondamentalmente una cabina.
Il giocatore indossava un casco che lo immergeva nel videogame, fornendo una visione stereoscopica a 360 gradi sia orizzontalmente che verticalmente.
Il corpo riceveva stimoli sensoriali quali vibrazioni e spostamenti dalla piattaforma. Questi stimoli seguivano quanto accadeva nel mondo virtuale. Il joystick opponeva resistenza in base ai movimenti compiuti dalle mani e alla resistenza che incontravano afferrando e usando strumenti nell’ambiente simulato.
L'anello di sicurezza del 1000CS produceva un campo magnetico intorno al giocatore, ne registrava i movimenti e li utilizzava nell'ambiente virtuale per simulare gli inseguimenti.
Alla fine l’esperienza era davvero realistica.
Chi ebbe l’opportunità di provare una di queste macchine assicura di essersi sentito letteralmente risucchiato nell’ambiente 3D. 
Tutti la descrivono come un’esperienza irripetibile e fantastica.
E se vediamo i filmati su Youtube che mostrano giocatori intenti a giocare, ci si rende conto che in effetti questi si sentivano isolati dal mondo circostante e immersi in quello del gioco.
Uno dei rari luoghi in cui il sistema divenne accessibile al vasto pubblico fu il Virtual Reality Centre  di Londra (nel 1993).
Io visitai questo spazio con alcuni amici, ma potei vedere la realtà virtuale solo dall’esterno sui monitor che mostravano in 2D il mondo nel quale si muoveva il giocatore. Potei vedere i giocatori che apparivano davvero coinvolti e seguiti da un’assistente che li faceva salire, scendere, e di tanto in tanto li sorreggeva se perdevano l’equilibrio. Ma non potei sperimentare a causa della lunga coda delle persone in attesa.
Le console erano poche, mi sembra 2, forse 3. Alla fine andammo a vedere un nostro amico che si faceva fare un tatuaggio al primo piano. Tanto, pensai, tra poco queste macchine saranno ovunque. Invece mi sbagliai, quella esperienza non si sarebbe presentata mai più.
Qualcosa non funzionava, fin dall’inizio, in questa breve avventura umana e cibernetica.
La stessa casa produttrice ammetteva che, in fase di test, il quaranta per cento dei giocatori usciva dal mondo virtuale col mal di testa.
Alla fine la realtà virtuale si rivelò un flop gigantesco.
L’esperienza di gioco era coinvolgente, ma stancante e stressante.
A parte la posizione che si doveva assumere, il casco ad esempio era molto pesante (Erano 650 grammi dichiarati ma all’atto pratico sembravano molti di più probabilmente per la resistenza opposta ai continui movimenti del collo dai cavi di controllo).
Conteneva due monitor LCD innovativi per l’epoca e di dimensioni modeste, ma comunque troppo grandi per essere posizionati ognuno davanti ad un occhio. Erano quindi posti di lato e portati alla vista da due specchi posti a 45 gradi. Questo armamentario collegato al resto dell’apparecchio con due grosse cablature era davvero scomodo per essere uno strumento di gioco.
Un altro motivo del flop fu probabilmente la quantità e la qualità dei giochi: in tutto erano solo una dozzina ma i giocatori ebbero il tempo di vederne al massimo otto. Davvero troppo pochi. Poi  la qualità: era senz’altro eccezionale all’epoca dal punto di vista grafico, ma molto banale dal punto di vista della trama e dello svolgimento.
Ben pochi giocatori poterono poi apprezzarli a pieno. Si trattava di coin-op molto costosi, si aveva a disposizione davvero poco tempo per giocare. Probabilmente pochi avranno potuto superare il primo livello. A Londra era concesso giocare soltanto tre minuti.
Ma il freno maggiore all’iniziativa fu soprattutto il costo.
Tutta l’attrezzatura costava ben 60.000 dollari. Un’enormità che portò quasi tutte le sale giochi del mondo a desistere dall’acquisto. Furono prodotti soltanto 350 “1000CS”: ben 120 finirono negli Stati Uniti ed i restanti divisi tra Europa e Australia (qui alcuni esemplari sono conservati in un museo).
L’impianto necessario si guastava facilmente e la manutenzione era molto costosa.
Alla fine il prezzo per giocare era molto salato: da uno a cinque dollari al minuto (cambio del 1993).
Sarebbe più o meno come se oggi ti chiedessero di spendere venti Euro per tre minuti di gioco. Forse più che meno.
Ai minorenni era proibito giocare perché si riteneva l’esperienza fosse troppo forte.
Gli adulti disposti a pagare così tanto e a fare lunghe code per pochi minuti di esperienza virtuale in uno sparatutto o in un gioco in cui si deponevano lettere in poligoni 3D erano troppo pochi.
Passata la curiosità iniziale ci si accorse che la clientela era ben troppo scarsa per ammortizzare i costi.
Nel giro di due anni l’esperienza della realtà virtuale video-ludica era conclusa. Relegata al ricordo di una moda passeggera e di un flop commerciale gigantesco.
Eppure dispiace che tanto dispendio di energie e creatività sia andato perso. Che il mondo si sia precluso questa possibilità.
Oggi sarebbe possibile creare apparecchi per realtà virtuale molto più economici, fruibili e coinvolgenti.  Basti pensare che, all’epoca, a creare l’ambiente virtuale era soltanto un semplice Amiga 3000, poco più di un Commodore 64.
I giochi virtuali prodotti furono:
Dactyl Nightmare
Grid Busters
Hero
Legend Quest
VTOL
Exorex
Total Destruction
Dactyl Nightmare 2
Zone Hunter
Pac-Man VR.
Teoricamente più giocatori potevano agire nello stesso spazio virtuale tramite una rete locale, a volte video a volte solo audio. Però ciò non accadde quasi mai. Erano pochissime le sale che avevano più apparecchi.
Si ipotizzava anche un collegamento remoto tramite ISDN, ma ciò non avvenne.

Note:
1)Secondo uno studente che provò l'apparecchiatura, la qualità delle immagini era ottima. Però se si ruotava oltre i 70 gradi, diventava inaccettabile. Inoltre guardando verso i piedi si aveva una sensazione di vertigine, la prospettiva in questo caso era falsata.
2) Alla realizzazione dei cabinati partecipò un ex tecnico Rolls-Royce, Richard Holmes, che prestò particolare cura alla resistenza delle piattaforme che dovevano sopportare l'usura prodotta da migliaia di utenti. Gli esemplari oggi esistenti appaiono effettivamente intatti nella loro struttura cabinata.
3) Presso Leicester si trova un centro chiamato Marconi. In questo centro di ricerca inizialmente rivolto ai Radar, furono sviluppate molte tecnologie innovative. Negli anni '70 venne sviluppato un sofisticato e costosissimo sistema di realtà virtuale. Un certo Terry Rowley che aveva lavorato in quella struttura fu, nel 1987, tra i fondatori della Industries W.
4) La plastica della struttura di 1000CS e 1000SD era di colore blù scuro e non nero come potrebbe sembrare dalle foto.
5) Industries W pensava realmente di trasporre la sua tecnologia videoludica in altri settori. Ad esempio la telemedicina.
6) In uno dei primi video-giochi Virtuality, un aliante volava verso il mare. Quando lo raggiungeva era seguito dai gabbiani. La routine dei gabbiani fu riutilizzata per creare un aggressivo Pterodattilo in un gioco successivo.
7) Una strana preoccupazione aveva colto gli sviluppatori di questi giochi: l'implicazione psicologica di essere ucciso virtualmente. Per cui quando perdevi, ad esempio se venivi colpito in uno spara-tutto oppure avevi un incidente in una simulazione di guida, vedevi il tuo alter-ego virtuale in terza persona, per ricordarti che non eri realmente tu ad essere colpito.

Grecia, oltre 400.000 bambini poveri. E in Italia ce ne sono due milioni.


Post n°517 pubblicato il 04 Aprile 2012 da francesco1375
Il comitato greco dell'UNICEF rende noto che nel Paese Ellenico oltre 400.000 banbini sono poveri e denutriti.
Inoltre il 20% delle famiglie sono povere.
Ma è l'intera Europa a sprofondare sempre più nella povertà, a causa della crisi della globalizzazione.
Di poco tempo fa la rivelazione che in Italia sono oltre due milioni i bambini che vivono sotto la soglia di povertà.
E' bene ricordare questo dato ogni tanto, perchè anche se la notizia e dell'Aprile scorso, è facile intuire che la situazione è adesso ancora peggiore.
Intanto i governi si impuntano nel proporre riforme che esasperano, anzichè mitigare, le cause che hanno portato alla crisi.

Storia segreta dello spazio: Come i russi tentarono di sbarcare sulla Luna prima dell'America.


Post n°525 pubblicato il 15 Agosto 2012 da francesco1375
Tutti sappiamo che, nel 1969, astronauti americani misero piede sulla Luna.
Meno noto è lo sforzo, messo in campo dai sovietici, per raggiungere e superare gli americani nella corsa alla conquista del nostro satellite naturale.
Tra le due super potenze era in corso una vera e propria gara. Una gara giocata senza alcun risparmio di mezzi e risorse, ma in parte segreta.
Infatti mentre gli americani facevano grande sfoggio dei loro progressi nel programma Apollo, i russi mantenevano nel più stretto riserbo il loro programma lunare. Arrivando persino a negare pubblicamente la sua esistenza.
Solo recentemente i loro progetti sono diventati di dominio pubblico, aggiungendo un altro piccolo tassello alla conoscenza di un periodo storico recente in gran parte sepolto da segreti e misteri.
Ecco la storia della corsa alla Luna sovietica.

I sovietici avevano progettato fin nei dettagli la loro esplorazione umana sulla Luna.
Nonostante avessero probabilmente accesso a gran parte dei progetti Apollo, elaborarono un progetto totalmente indipendente.
Il progetto fallì soprattutto per la sottovalutazione dell'elettronica, molto indietro rispetto a quella americana. L'arretratezza in questo settore portò al fallimento del vettore di lancio N1 che a differenza del Saturn americano si basava su un sistema sostanzialmente elettro-meccanico per mantenere l'assetto. Architettura che si rivelò insufficiente nella stabilizzazione dell'immenso razzo che avrebbe dovuto portare i russi sulla Luna.
Alcuni particolari del fallimento del vettore sovietico, ci lasciano ipotizzare, ma lo ripeto, è solo un'ipotesi, che in fondo i progettisti, molti dei quali avevano sperimentato i Gulag in era staliniana, abbiano remato contro la realizzazione di un vettore così potente, quale sarebbe stato l'N1. Anche sapendo che questo, successivamente, poteva essere usato per trasportare micidiali ordigni bellici in orbita terrestre. Erano allo studio enormi stazioni spaziali orbitanti militari, che poi furono realizzate in scala minore e solo in parte. Questa ipotesi ci sembra una possibilità, vista anche l'incongruenza tra i grossolani errori di progettazione di N1 e la raffinatezza tecnica che consente a Soyuz di essere ancora uno di vettori spaziali più apprezzati al mondo. E se si considera che entrambi i progetti erano frutto della mente dello stesso progettista, vero genio dell'astronautaica, non si può che restare perplessi.
Nell'idea originale per il viaggio sovietico, tuttavia, non ci sarebbe stato bisogno di un razzo gigantesco come quello che si tentò di realizzare.
La prima ipotesi prevedeva infatti che i vari elementi dell'astronave che avrebbe raggiunto il nostro satellite, sarebbero stati lanciati in orbita separatamente e lì assemblati.
Nacquero problemi di vario tipo. Questa metodologia avrebbe costretto gli astronauti a trascorrere troppo tempo nello spazio per l'assemblaggio, a discapito del tempo da dedicare al viaggio vero e proprio: avrebbe richiesto molti lanci consecutivi col rischio che qualcuno fallisse, inficiando l'utilità di tutti gli altri. Inoltre i vertici sovietici spingevano verso la costruzione di un razzo gigantesco in modo da sfruttare la tecnologia elaborata per la Luna anche a scopi militari.
Si decise quindi di spedire nello spazio tutti i moduli del veicolo contemporaneamente, come nella missione Apollo. Tuttavia, mentre nella missione lunare americana il veicolo di discesa lunare LEM (o LM) veniva lanciato insieme alla capsula Apollo ma divisa e agganciata a questa in orbita con una complessa manovra prima di partire per la Luna, l'astronave sovietica era già completamente assemblata e in configurazione finale già al momento del lancio. Si cercava infatti di limitare al minimo le manovre. Si volevano così dedicare tutte le risorse vitali ed il tempo disponibile al viaggio trans-lunare.
Si dice che i sovietici non fossero in grado di eseguire manovre così complesse, come quelle dell'aggancio Apollo-Lem (sperimentate dagli USA nelle missioni Geminy), ma questo non è del tutto vero. I sovietici erano stati già in grado di eseguire manovre analoghe e successivamente superarono gli USA in queste manovre.
Nel caso specifico però i sovietici erano letteralmente terrorizzati all'idea di un fallimento che avrebbe provocato un danno psicologico enorme. Limitando al massimo le manovre tra i veicoli si riducevano i rischi per i cosmonauti e per i veicoli.
I sovietici erano convinti che il sistema Apollo fosse estremamente pericoloso per gli astronauti e le probabilità di fallimento elevatissime. Nel loro progetto cercarono quindi di realizzare l'architettura più semplice e sicura possibile.
Tuttavia, i loro studi evidenziarono sempre che, sia la loro missione che quella americana, erano rischiosissime per il personale umano.
Li assillava soprattutto l'idea che il veicolo di discesa lunare per un motivo tecnico qualunque, non potesse ripartire. Gli americani non cercarono alcuna soluzione ad un'evenienza di questo tipo (fu previsto solo di interrompere la diffusione di immagini e collegamenti radio e trasmettere solo discorsi e necrologi vari per esaltare il sacrificio degli eroi e non angosciare l'opinione pubblica).
I sovietici ritennero inaccettabile tale evenienza e preventivarono di far sbarcare sulla Luna un solo cosmonauta a bordo di un veicolo di sbarco lunare ed un secondo veicolo di sbarco lunare vuoto accanto a lui. Nel caso in cui il veicolo non fosse stato in grado di ripartire, il cosmonauta avrebbe utilizzato l'altro.
Quindi, la missione lunare ipotizzata dai sovietici era strutturata diversamente da quella americana.
Riassumendo:
Nella missione americana Apollo, i vari moduli della missione erano stivati insieme dentro il razzo Saturno V. Anche in quella Russa si decide di mandare insieme nello spazio i vari moduli.
Tuttavia i moduli dell'Apollo erano separati all'interno del razzo e venivano assemblati in orbita terrestre prima di partire verso il nostro satellite.
In particolare era il Lem ad essere stivato al di sotto del complesso formato da capsula Apollo e modulo di servizio. Per cui una volta in orbita terrestre, con una delicata manovra, la punta dell'Apollo andava agganciata al boccaporto sulla sommità del Lem. Si veniva così a creare uno stretto tunnel che rendeva comunicanti dall'interno i due moduli abitabili.
Nella soluzione russa invece modulo di discesa lunare e capsula di comando erano già uniti alla sommità prima del lancio e non c'era bisogno di manovre di aggancio prima di iniziare il viaggio. Questo semplificava molto le procedure e la soluzioni tecniche, con un risparmio di peso, carburante e risorse vitali ed umane. Tuttavia, proseguendo nel solco delle semplificazioni, il modulo di comando e quello di discesa non erano comunicanti. Per cui, giunti in prossimità della Luna, uno dei due cosmonauti (che appunto erano 2 e non 3 come nell'Apollo) sarebbe dovuto uscire dalla capsula di comando per raggiungere, con una passeggiata spaziale tutt'altro che semplice e sicura, il modulo di discesa lunare.
Una volta entrato nel modulo di discesa lunare, il cosmonauta esploratore, avrebbe dovuto indossare senza alcun aiuto la tuta lunare. Questa era molto evoluta ed avrebbe avuto soluzioni innovative in seguito adottate spesso nella tecnologia spaziale. A differenza della tuta lunare dell'Apollo, quella sovietica era semirigida. Era un vero e proprio scafandro con busto rigido, e vi si entrava dalla parte posteriore attraverso un ampio "portellone" chiusa dallo zaino che svolgeva la funzione di portellone. La tuta lunare era un vero e proprio veicolo spaziale, differiva da quella dell'Apollo anche per un pannello di controllo, una sorta di tastiera davanti al ventre, per accedere alle varie funzioni vitali.
All'interno del modulo di discesa lunare sovietico non c'era un vero e proprio vano, tuta e veicolo di discesa erano in pratica un tutt'uno, tanto che il veicolo stesso era quasi una parte della tuta. Il Cosmonauta vi era quasi immobilizzato e poteva muovere soltanto le leve di comando.
L'involucro esterno del modulo di discesa, almeno da quello che si può vedere dagli esemplari conservati nei musei, era una batisfera fatta di un blocco unico e non di più elementi assemblati come nell'Apollo. Probabilmente era più solida e più pesante (come peso specifico) ma più piccola, conteneva infatti un solo cosmonauta.
Sul luogo di sbarco ci sarebbe stato un'altro modulo di discesa lunare vuoto che il cosmonauta avrebbe utilizzato per il rientro in caso di emergenza.
I russi erano molto dubbiosi circa le condizioni ambientali che l'uomo avrebbe trovato sulla Luna, e a differenza degli Americani che sembravano molto più sicuri, adottarono tutta una serie di precauzioni, come il modulo di sicurezza, e previdero una permanenza molto breve sul suolo. Ora delle due l'una, o gli americani erano imprudenti, o i russi avevano sopravvalutato i rischi. La seconda ipotesi sembra suffragata dal fatto che gli americani hanno poi fatto ottime e lunghe missioni, ed i russi alla fine hanno rinunciato. Ma oggi vediamo che gli Americani, pur avendo a disposizione tecnologie e conoscenze molto superiori al '69, non riescono ad organizzare una nuova missione a causa della difficoltà tecnica e dei rischi. Allora ci si domanda, se oggi si calcolano rischi e difficoltà enormi che confermano i timori che al tempo avevano i sovietici, come sia stato possibile per gli USA portare a termine le missioni Apollo: sono stati un po' imprudenti e casualmente nulla è andato storto, oppure come dicono i luna scettici le missioni Apollo sono state simulate per non ammetterne il fallimento o per coprire spese spaziali segrete e più utili (forse agli Shuttle?). Qui il dibattito è aperto, ogni parte porta i suoi elementi a sostegno della sua tesi. Noi pensiamo che le missioni Apollo siano state reali, ma non escludiamo a priori nulla.
Tornando alla missione sovietica: dopo una breve passeggiata lunare, il cosmonauta sarebbe tornato nel modulo, formato di due parti, quella con le zampe che, restando sulla luna avrebbe costituito il trampolino di lancio, ed il modulo che sarebbe tornato verso la capsula orbitante intorno alla Luna.
Il modulo di ritorno dalla Luna e quello di rientro verso la Terra si sarebbero incontrati. A questo punto c'è un'altra differenza con l'Apollo: il modulo di rientro dalla Luna, non avrebbe agganciato l'altro con assoluta precisione. Ciò avveniva nell'Apollo per ricostituire il tunnel che consentiva agl'astronauti di ritorno di raggiungere il compagno senza uscire all' esterno dell'astronave.
I due moduli russi avevano invece un sistema di attracco molto più rudimentale e semplice: due dischi in metallo piuttosto ampi, ognuno posto alle'estremità di uno dei due moduli. Uno aveva molti punzoni, ed un'altro molti fori. Quindi, accostando i due dischi, anche senza avere una grossa precisione, bastava che qualche punzone penetrasse in alcuni fori in qualunque posto del disco, senza bisogno di una grande precisione. Questo perchè si pensava che il cosmonauta di ritorno dalla Luna sarebbe stato molto stanco e stressato e che in presenza di una manovra molto complessa quale quella dell'Apollo, avrebbe potuto commettere errori anche gravi.
Se l'aggancio così risultava molto semplice, molto più difficile era per il cosmonauta russo ricongiungersi al compagno. Doveva infatti fare una nuova passeggiata spaziale per rientrare nella capsula di ritorno alla Terra. Prima della passeggiata spaziale avrebbe dovuto anche cambiare tuta e togliersi quella lunare. Come sarebbe stato possibile nell'ambiente strettissimo del modulo di discesa cambiarsi la tuta all'arrivo e al ritorno? Questo no lo so. Quello che è sicuro è che della missione sovietica restano numerosi elementi praticamente completi, come i moduli di discesa, le tute ecc. ma che alla fine si decise di annullare la missione, almeno questo è quello che si sa.